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Bande musicali, cena vegetariana sontuosa, ventuno colpi di cannone; in sostanza uno standing ovation per salutare il primo ministro Narendra Modi in visita negli Sati Uniti. Gli stessi Stati Uniti che nel 2005 gli avevano negato il visto per questioni di diritti umani, prima che diventasse Primo Ministro. (BBC News).
E su questa posizione si è mantenuta la democratica Alexandria Ocasio-Cortez che, su Twitter, ha commentato che le visite di stato non dovrebbero essere offerte a persone con “record sui diritti umani profondamente preoccupanti”.
“Quasi, come in base a qualche legge naturale, in ogni secolo sembra emergere un paese con il potere, la volontà e l'impulso intellettuale e morale per plasmare l'intero sistema internazionale secondo i propri valori.”
È la frase, predittiva, che apre il capitolo primo del libro di Henry Kissinger, Diplomacy, pubblicato nel 1994.
Certamente, in quegli anni, non vi erano presagi per considerare l’India come papabile all’ascesa kissingeriana.
In seguito, ogni volta che i politici americani si sono recati in India ne hanno decantato le lodi come la più antica e grande democrazia del mondo.
Credo, personalmente, che avessero in mente le immagini che la storia ha tramandato attraverso la figura del padre della democrazia, Mohandas Karamchand Gandhi, piuttosto che la descrizione di un panorama che oggi, in quel paese, non ha più nulla a che vedere con gli ideali sorti all’inizio della propria indipendenza.
Ma l’arte della diplomazia, che dovrebbe contemporaneamente coinvolgere e istruire, e allo stesso tempo far emergere cambiamenti nel metodo in alcuni momenti storici chiave, si è rivelata come l’arte della temerarietà, della eccessiva cautela e della goffaggine, le quali possono avere importanti deleterie conseguenze, sia sul piano politico che in quello morale, per il destino delle nazioni.
Una caratteristica distintiva della globalizzazione del XXI secolo è la crescente complessità delle relazioni globali e la rapidità con cui queste informazioni rimbalzano in tutto il mondo, aprendo nuove strade per la condotta della diplomazia e sollecitando, al contempo, i nuovi partecipanti a esserne coinvolti.
Da quando l'India ha ottenuto l'indipendenza nel 1947, le relazioni politiche tra India e Stati Uniti non sono mai state così strette come si finge di credere.
All'inizio del 1992, il New York Times ottenne una copia della Guida alla pianificazione della difesa degli Stati Uniti per l'era post-guerra fredda. Era solamente una bozza.
Il progetto di documento dichiarava: “Cercheremo di prevenire l'ulteriore sviluppo di una corsa agli armamenti nucleari nel subcontinente indiano. A questo proposito, dovremmo lavorare per far aderire entrambi i paesi, India e Pakistan, al trattato di non proliferazione nucleare e per sottoporre i loro impianti di energia nucleare alle garanzie dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA). Dovremmo scoraggiare le aspirazioni egemoniche indiane rispetto agli altri stati dell'Asia meridionale e sull'Oceano Indiano. Per quanto riguarda il Pakistan, una relazione militare costruttiva tra Stati Uniti e Pakistan sarà un elemento importante nella nostra strategia per promuovere condizioni di sicurezza stabili nell'Asia sud-occidentale e nell'Asia centrale”
Dopo mezzo secolo di relazioni tra quelle che allora erano le due più grandi democrazie del mondo, i pianificatori della difesa del governo degli Stati Uniti potevano abitualmente presumere che ci fosse un interesse americano a sopprimere le "aspirazioni egemoniche" indiane in Asia meridionale e ancora una volta ad armare il suo peggior nemico e vicino, il Pakistan.
Questo ambivalente rapporto di odio-amore tra India e Stati Uniti si è protratto per anni.
Nel 1958, ad esempio, l’allora senatore
John Kennedy, presentò una risoluzione per aumentare l’assistenza all’India, perché pensava fosse stato vitale per gli USA sostenere la democrazia indiana contro l’invasione comunista:
“Il futuro democratico dell’India è delicato e pericolosamente in bilico”.
Ma già nel 1954 il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru aveva dichiarato esplicitamente che l’India sarebbe rimasta non-allineata durante la Guerra Fredda. E non cambiò nulla quando lo stesso Kennedy, speranzoso, lo invitò a Washington nel 1961.
Il Primo Ministro indiano respinse tutti i suoi sforzi per portare l’india nell’orbita degli Stati Uniti.
Un altro “schiaffo in faccia” clamoroso fu quello della decisione, nel 1971, dell’allora Primo Ministro Indira Gandhi, figlia di Jawaharlal Nehru, di stilare un trattato di amicizia con Mosca, lasciando gli americani in preda al livore.
Nella storia si sono sempre susseguiti episodi di questo genere, ma i politici statunitensi hanno sempre elogiato l’india e hanno continuato a sostenere che i suoi principi democratici ne facevano un buon partner.
Fin dall’indipendenza, in India convivono diversi gruppi religiosi: le persone che praticano l’induismo sono la maggioranza (circa l’80%); gli ultimi dati disponibili, hanno rilevato un 14% di
musulmani, un 2% di
cristiani e meno del 2% di persone di religione
sikh.
Le comunità
buddiste e
jainiste sono ancora più piccole, ma contando la popolazione indiana, si tratta comunque di milioni di persone. I musulmani vivono in tutto il paese, e sono la maggioranza nei territori di Jammu e Kashmir.
Ora, da quando è stato eletto nel 2014, Modi ha promosso diverse leggi volte a trasformare l’India da paese laico a induista, passando per l’indebolimento dei diritti delle minoranze e delle comunità musulmane. Questo processo è stato accompagnato da un crescente autoritarismo e una frequente soppressione del dissenso.
Questo personaggio ha fatto e sta facendo di tutto per fare della sua nazione l’immagine vivente dell’induismo, e basta.
Persino lo
Yoga.
Gli sforzi di Modi per rendere popolare lo yoga sono stati considerati da alcuni critici come un tentativo più ampio di promuovere discipline legate all’induismo, in linea con la politica del suo governo, che è quella di rendere l’India un paese sempre più nazionalista, indebolendo i diritti delle minoranze e colpendo le comunità musulmane che abitano il Kashmir indiano.
Molto diverso dallo stato laico che avevano voluto i suoi padri fondatori.
Nonostante ciò, l’amministrazione Biden ha continuato a spingere per legami più stretti con l’India, appoggiandosi solo ai presunti valori comuni dei due stati.
Da quando ha riportato due grandi vittorie nazionali, una nel 2014 e un'altra nel 2019, il Bharatiya Janata Party di Modi ha svuotato le istituzioni che possono controllare il comportamento del primo ministro, anche politicizzando la burocrazia civile indiana.
Questo processo è stato accompagnato da un crescente autoritarismo e una frequente soppressione del dissenso.
E oggi, 23 Giugno 2023, mentre i due Presidenti
Joe Biden e
Narendra Modi hanno acclamato la partnership
USA-India, ai manifestanti che si sono riuniti fuori della Casa Bianca per opporsi alla sua visita, Modi ha risposto:
“la democrazia scorre nelle nostre vene, non c’è assolutamente spazio per la discriminazione”.
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